di Giovanni Trapattoni
Comazoo, in collaborazione con Granda Team, ha organizzato un incontro formativo sul management, la gestione sanitaria e l’alimentazione del periodo di transizione. L’evento ha visto l’intervento del Professor Cabrera, docente di chiara fama internazionale dell’Università del Wisconsin Madison, che ha fornito strumenti utili a valutare l’impatto economico di un errato management di questa delicata fase e a misurare la sua incidenza sulla redditività aziendale.
Uno scarso adattamento durante il periodo di transizione implica uno stress metabolico; compromettendo il funzionamento del sistema immunitario con un aumento dell’incidenza delle patologie metaboliche, maggior incidenza di mastiti, elevata incidenza di acidosi intestinale, iper produzione lattea alla quarta settimana di una percentuale considerevole di bovine, elevato tasso di rimonta precoce (entro i 100 giorni di lattazione) e diminuzione della longevità.
Una corretta gestione della fase di transizione, soprattutto da un punto di vista nutrizionale, genera un miglioramento delle prestazioni produttive e riproduttive determinando un aumento delle performance economiche della stalla, ma risulterà anche in una produzione sostenibile da un punto di vista ambientale.
LE CRITICITÀ DELLA FASE DI TRANSIZIONE
Il periodo di transizione è una delle fasi più critiche nell’allevamento della vacca da latte e viene identificato come l’intervallo di tempo che va da 3 settimane prima a 3 settimane dopo il parto. Durante questo lasso di tempo, la bovina subisce molti cambiamenti dal punto di vista ormonale, alimentare e corporeo associati ad un aumento dello stress dovuto al parto e all’alta richiesta di energia per l’inizio della produzione lattea. Tali criticità sono riconducibili ai limiti nutrizionali e gestionali che si manifestano in questo periodo e che possono, quindi, ostacolare il raggiungimento della massima capacità produttiva di una vacca. È un periodo cruciale che può influenzare talmente tanto la produzione, la salute e le prestazioni riproduttive da rappresentare il crocevia per il successo della seguente lattazione.
Infatti, le alterazioni dei meccanismi di difesa che si hanno in questa fase, in associazione ai cambiamenti ormonali e metabolici connessi, possono contribuire all’elevata incidenza di patologie. Queste dismetabolie, se non vengono accuratamente prevenute o trattate, danno origine ad una serie di altri eventi negativi che si ripercuoteranno sull’efficienza produttiva e riproduttiva della bovina, fino addirittura alla riforma nei casi più estremi. Le patologie più frequenti sono: metrite, ipocalcemia, dislocazione dell’abomaso, chetosi e ritenzione della placenta; l’aspetto più temuto di queste patologie è la loro concatenazione.
INCIDENZA DELLE DISMETABOLIE IN TRANSIZIONE
Una volta ottenuti gli strumenti per valutare l’impatto economico di queste dismetabolie, è necessario fare una valutazione generale sull’incidenza delle stesse in allevamento. Dai dati di campo esposti dal dott. Gallo di Granda Team si evince come l’ipocalcemia in forma clinica può essere definita ormai una patologia “risolta”. Infatti, l’attenzione posta alla diagnosi e le diverse strategie impiegate per la prevenzione ed il trattamento di tale patologia hanno portato alla scomparsa del problema, fatto salvo per alcuni rari casi sporadici rilevabili ancora oggi. Lo stesso discorso può essere applicato alla dislocazione dell’abomaso. Questo risultato si è ottenuto grazie ai miglioramenti delle strategie nutrizionali dedicate al pre-parto, alla maggiore attenzione rivolta verso la valutazione dell’ingestione e la realizzazione di razioni improntate a colmare il gap energetico rilevabile tra la fase di asciutta e l’inizio della lattazione di una lattifera ad alta produzione. Tuttavia, vi sono ancora diverse dismetabolie che non si possono considerare risolte, sia per la maggior complessità nella diagnosi che per la maggiore difficoltà nella terapia. Un esempio è l’ipocalcemia subclinica. La sua manifestazione ha effetti più o meno importanti rivolti alla salute dei prestomaci e dell’utero che si traducono in un conseguente calo delle performance produttive e riproduttive degli animali.
Negli ultimi anni si è cercato di sensibilizzare maggiormente gli allevatori e i tecnici di campo sull’importanza della rilevazione della calcemia ionizzata e dell’ipocalcemia, gli unici strumenti di diagnosi al momento utili alla rilevazione di tale problematica. Anche la ritenzione di placenta rappresenta una “patologia marker” tipica di questa fase. La presenza in stalla di tale problematica è legata a più fattori (gestionali, stagionalità, nutrizione e genetica). La Frisona, infatti, se paragonata ad altre razze bovine, è maggiormente soggetta a tale dismetabolia e ciò si traduce in un importante costo generato sia dal trattamento della patologia che alla conseguente riduzione delle performance riproduttive.
La metrite invece è una patologia che, secondo l’esperienza di Granda, ha avuto negli anni una minor incidenza nella forma clinica ma che spesso viene sottovalutata a causa di errori diagnostici che, se non accompagnati da un’idonea identificazione di tipo strumentale, portano allo sviluppo di endometriti in forma subclinica che vanno a compromettere la potenziale capacità riproduttiva.
Infine, un approfondimento anche sulla chetosi, la problematica chiave del periodo di transizione, che, secondo i dati raccolti, ad oggi è affrontata con strumenti “classici” in grado di garantire buoni risultati. Tuttavia, la prospettiva futura indica che tale approccio potrebbe non essere sufficiente per le richieste sempre più esigenti in termini di performance produttive e di picchi di lattazione sempre più sostenuti. Tutto ciò porterà all’aumento dell’incidenza di questa patologia, e la gestione di questa problematica potrebbe diventare il vero spartiacque della carriera produttiva delle lattifere, con conseguenze dirette sull’efficienza produttiva degli allevamenti e sulla loro sostenibilità economica.
IMPATTO ECONOMICO DELLE DISMETABOLIE
Il Dottor Victor E. Cabrera, ha fornito una panoramica internazionale e nazio-nale sull’incidenza delle diverse proble-matiche che possono interessare questa fase, a cui è seguita una valutazione economica utile ad indagare l’impatto di tali dismetabolie sulla carriera produttiva di una lattifera e sulla redditività aziendale.
Il costo di una patologia e la sua incidenza economica sulla redditività sono dati, spesso, poco conosciuti, sia per la difficoltà nel recepirli che per la difficoltà nel calcolare tali valori. Tuttavia, lo strumento migliore per misurare l’efficacia di un protocollo gestionale è la valutazione dell’impatto economico della dismetabolia e l’analisi del costo d’intervento per la sua risoluzione.
Uno degli obiettivi del lavoro del Dott. Cabrera è stato quello di realizzare uno strumento decisionale di semplice utilizzo volto a supportare l’allevatore nella valutazione del livello di management della propria azienda. Quindi, in relazione alle problematiche del periodo di transizione sopracitate, è stata analizzata l’entità e l’impatto economico di queste 5 patologie cliniche, correlandone l’incidenza rilevata in campo con lo strumento economico IOFC (margine lordo al netto dei costi alimentari) (Immagine 1).
In uno studio condotto nel 2009 è stato calcolato il rischio di incidenza (LIR) delle 5 dismetabolie su un gruppo di 30 aziende americane in un determinato intervallo di tempo, ed è stata poi valutata l’eventuale correlazione con lo IOFC. La ricerca di tale relazione si è basata sull’ipotesi di fondo che un incremento del LIR determini una fisiologica riduzione del margine economico per via della compromissione delle capacità produttive degli animali.
Lo studio ha avvalorato l’importanza di migliorare il management rela-tivo al periodo di transizione poiché, come logica conseguenza, il suo esito positivo ha un grosso impatto sulla capacità produttiva dell’animale e di conseguenza sulla sua redditività, misurata tramite il calcolo dell’IOFC. Per trasporre tutto ciò in dati concreti e utilizzabili, il Dott.Cabrera ha ideato una pagina web dedicata (DairyMGT. cals.wisc.edu) dove è possibile consultare alcuni Tools (strumenti di calcolo) gratuitamente fruibili, che possono essere impiegati per fare diverse considerazioni sull’impatto economico di tali dismetabolie.
Tutto ciò consente di avere dati su cui far riferimento per conoscere l’entità e il costo delle varie patologie, fare valutazioni sul livello di management dell’allevamento e, nel caso si rilevi una problematica particolarmente incidente, intervenire con migliorie nella gestione igienico-sanitaria e alimentare della fase di transizione. Da qui si potranno quindi ottenere le indicazioni necessarie per valutare la redditività generale dell’allevamento, vista la stretta correlazione tra positivo superamento del periodo di transizione e capacità produttiva di una bovina in lattazione.
LA FASE DI TRANSIZIONE NELLA MANZA
Un focus è stato fatto sulla gestione della rimonta, con particolare riferimento a quelle fasi che possono influenzare la crescita della vitella compromettendo la capacità produttiva e riproduttiva della manza alla prima lattazione. Sappiamo che l’obiettivo è quello di avere manze pronte alla fecondazione a 12-13 mesi di vita con un peso che oscilla tra i 350 e i 400 kg, in modo da anticipare l’età al parto e ridurre la durata del periodo “improduttivo” dell’animale senza compromettere le potenzialità produttive e riproduttive. Il superamento del periodo di transizione da parte della manza è poco influenzato dalle dismetabolie precedentemente descritte, mentre fattori traumatico-infiammatorio dovuti al parto possono determinare ripercussioni molto più gravi. Infatti, manze con un BCS non corretto al parto, sia in termini di animali sottodimensionati che eccessivamente grassi hanno una elevata probabilità di parti languidi, con conseguente compromissione delle capacità produttive e riproduttive che ne determinano molto spesso l’anticipata riforma.
A conferma di ciò, è stato preso in considerazione un ulteriore studio che correla età al primo parto e rischio di riforma. I dati riportati mostrano come l’incidenza delle diverse patologie abbia una variabilità netta a seconda dell’età al parto. La finestra ottimale per il primo parto viene identificata tra 750 e i 799 giorni di vita, a seconda del management e soprattutto della taglia dell’animale, intesa come kg di peso e altezza al garrese. Al contrario, un’età al parto superiore o inferiore ai 24,5 mesi di vita determina un aumento dell’incidenza del tasso di riforma. Infatti, una manza che giunge al parto troppo presto presenta un declino delle capacità riproduttive espresse come allungamento dell’intervallo parto-concepimento e del numero di interventi fecondativi utili (Immagine 2).
Inoltre, si può notare come un raggiungi-mento precoce dell’età al parto determini una riduzione del potenziale produttivo della lattifera, con compromissione delle lattazioni successive per ulteriori problematiche connesse (Immagine 3).
Se invece l’età al parto viene prolungata oltre l’intervallo di tempo consigliato avremo un aumento dei costi di mantenimento della manza, soprattutto in termini di alimentazione, e un conseguente incremento di BCS oltre il range ideale che evolve poi in problematiche al parto (Immagine 4).
Risulta quindi fondamentale raggiungere l’età idonea in modo da ridurre il rischio di riforma anticipata, soddisfare il pieno potenziale produttivo delle bovine e soprattutto trovare il giusto com-promesso economico tra produzione e redditività.
OBIETTIVO: MIGLIORARE I PUNTI CRITICI
Possiamo dire che sono stati fatti molti passi avanti nella risoluzione dei problemi tipici delle fasi più delicate dell’allevamento della vacca da latte. L’obiettivo rimane quello di migliorare quei punti critici ancora presenti e per conseguenza ridurre l’incidenza di patologie che possono inficiare il raggiungimento del pieno potenziale produttivo delle bovine da latte. Inoltre, grazie all’adozione di uno strumento di valutazione semplice e preciso come quello proposto dal Dott. Cabrera si possono fare delle considerazioni più attendibili e mirate in termini di redditività e sostenibilità economica di un allevamento, valutandone il livello di management e le criticità sulla quale è necessario intervenire (Immagine 5).
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